martedì 10 giugno 2014

Un libro, per triste che sia, non può essere triste come una vita

trilogia della città di K è un libro che come suggerisce il titolo è una trilogia, diviso quindi in tre parti

la prima di questa è fatta a capitolini, in prima persona plurale e sempre al presente, senza un'emozione o un'idea, solo il resoconto dei fatti, come un diario live, come un qualcosa che viene dal libro stesso

la seconda parte è invece la storia di un personaggio che gia si era conosciuto nella prima parte, con le sue vicende, i suoi pensieri, le scelte e i dubbi, insomma per certi versi il proseguire della prima parte

la terza parte è quella che dovrebbe essere del resoconto, con la prima e la seconda parte come preambolo a quello che dovrebbe essere il gran finale, la spiegazione, la comprensione. Il problema, a mio avviso, è che c'è troppo caos, troppe cose che non si capisce come siano veramente andate, ci si fanno delle idee, delle convinzioni e alla fine siccome non si da il nome alle cose, ai personaggi e alle vicende si fa fatica a capire dove stia l'inganno e dove la realtà. in pratica ci si sente presi in giro, nel senso buono del termine, come quando vedi il finale de I soliti sospetti, solo che se ne ha la sensazione e mai la certezza con quel turbinio nella pancia e la testa leggera.

detto questo, secondo me è bellissimo, scritto in tre maniere diverse tutte e tre con particolarita e stili che rendono molto bene, penso sia colpa mia il caos nel finale e della mia attitudine a leggere troppo velocemente senza a volte soffermarmi, sperando in uno spiegone, mica sempre, c'è mai quando serve




mercoledì 4 giugno 2014

Ci incontreremo là, dove non c'è tenebra

io me lo immagino george orwell, nella sua stanza, in preda al terrore, dopo il piu grande terrore del XX secolo che aveva il nome di guerra, olocausto, bombardamenti

il terrore del caso era il poi, il futuro e come questo potesse essere influenzato e gestito, con le liberta personali annientate, lo Stato al centro di tutto e in quanto tale oppressivo, alienante, grigio

era questo forse il sentimento che si provava pensando al comunismo, si era comunque ad inizio guerra fredda e quello che poteva essere l'inizio della ripresa aveva comunque aspetti di profonda insicurezza, il nucleare, il dualismo USA-URSS, un mondo che doveva comunque ripartire e farlo nel modo giusto

in questa sitauzione me lo immagino orwell, terrorizzato da un futuro per certi versi sicuro ma per altri alienante, solo qualche anno dopo, neanche 40.

e forse così si immagina orwell, o si sogna, come il protagonista del suo romanzo, l'ultimo uomo d'europa (titolo che avrebbe voluto per il suo romanzo), l'ultimo sognatore, l'ultimo a capire, resistere, immaginare, volere, nel grigiume e piattume collettivo. Un eroe in un mondo di uomini atrofizzati, un brillante e controcorrente, quello che vorremmo essere tutti e che spesso, anche se le cose non sono andate come immaginava orwell, ci risulta difficile essere